Lungo la strada provinciale n.53, tra Alia e Caltavuturo, una via secondaria porta alla base di una parete di roccia che domina il paesaggio agricolo della Valle del Platani. Quì si trovano aperture artificiali che rivelano un antico insediamento rupestre composto da varie stanze ed una sala a forma di campana alta più di 16 metri, quanto un edificio di cinque piani. L’origine di questo luogo è avvolto nel mistero, uno dei tanti che rendono la Sicilia una terra unica e ricca di segreti ancora da svelare.

Non si conoscono documenti o indizi che permettano di capire chi potrebbe aver deciso di scavare il ventre di una montagna per creare spazi così particolari. Ancora più difficile è capire quando e perché sia stato costruito un ambiente che appare come il risultato di un raffinatissimo progetto architettonico.

Archivio LIMEN / Foto di Vincenzo Sottosanti
Gli ipogei della Gurfa si trovano a cinque chilometri da Alia ed a poca distanza dalla Valle del fiume Torto, un’antica via di collegamento tra l’entroterra siciliano e la costa tirrenica. Già 2500 anni fa, con l’espansione delle colonie greche in Sicilia, la Valle del Torto era la principale via naturale tra la parte settentrionale della Valle del Platani – nota per la coltivazione cerealicola estensiva- ed il porto di Himera da dove il grano veniva imbarcato e trasportato in Grecia.

Le più importanti tombe a Tholos conosciute in Sicilia sono quelle di Thapsos e di Sant’Angelo Muxaro. Le evidenze archeologiche testimoniano anche che i micenei risalirono il Fiume Platani, probabilmente spinti dalla presenza di zolfo, salgemma ed altre risorse minerali apprezzate dai mercati orientali. E’ plausibile che i Greci si spinsero fino alla parte settentrionale dove sono stati realizzati gli ipogei della Gurfa. Il sito rupestre è situato in un luogo strategico per la viabilità. La Valle del Torto permetteva il collegamento con la costa tirrenica dove nel 648 a.C. i greci fondarono la città ed il porto di Himera, distrutti dai Cartaginesi nel 409 a. C., dopo appena 239 anni dalla fondazione.
Elaborazione grafica Redazione LIMEN

Fonte: Stemmi Comunali Italiani
Il covone di grano ed il grappolo d’uva rappresentati nello stemma municipale di Alia suggeriscono che nel medioevo, alla fondazione del primo insediamento urbano, grano e vino fossero fondamentali per l’economia locale. Questo potrebbe aver influenzato gli studiosi che interpetrano la grande sala come una cavità naturale utilizzata come granaio e gli spazi più piccoli come magazzini agricoli. Non tutti però la pensano così.
Nel XIX secolo, Luigi Tirrito, storico di Castronovo di Sicilia, sosteneva che le cavità della Gurfa fossero antiche abitazioni trogloditiche risalenti a un’epoca molto precedente a quella saracena a cui venivano comunemente attribuite.
Nel 1901 il giornalista Ciro Leone Cardinale visita i luoghi descritti dal Tirrito e li descrive come “uno splendido monumento ed avanzo di civiltà protostoriche, sopravvissuto miracolosamente ai tempi ed ai vandalismi dell’uomo”.
A far dimenticare le grotte della Gurfa contribuì il “Miracolo Italiano” degli anni ’60 del secolo scorso che spinse molti contadini a trasferirsi nelle città industriali del nord Italia, o all’estero, in cerca di condizioni di vita migliore.
Da decenni si registra un continuo e lento esodo della popolazione dell’entroterra siciliano con un aumento significativo tra i giovani più istuiti, come evidenziato dal Rapporto SVIMEZ 2024. Questo fenomeno migratorio ha portato ad una grave crisi demografica che negli ultimi cinquant’anni ha ridotto di metà la popolazione dei paesi dell’entroterra come Alia e Valledolmo, i centri urbani più vicini alle Grotte della Gurfa.

Rilievo di Silvana Braida (1984)
Nel 1984 gli studi dell’architetto Silvana Braida riportano l’attenzione sul sito rupestre della Gurfa. Le ricerche dimostrano che questi spazi sono autentiche opere architettoniche interamente ascavate dall’uomo, e non semplici grotte naturali adattate. L’origine degli ipogei della Gurfa rimane incerta e controversa, ma il Comune di Alia ha iniziato a valorizzare il sito creando un Ufficio Turistico che organizza visite guidate su richiesta.

Una tomba monumentale?
L’architetto Carmelo Montagna è uno storico dell’architettura che ha studiato a lungo il sistema rupestre definendolo come “un’architettura in negativo”. Secondo le sue ricerche, si tratta della più grandeTholos del Mediterraneo interamente scavata nella roccia.
Le tombe a Tholos sono monumenti con una grande stanza circolare a cupola. Venivano realizzate in Oriente per seppellire famiglie o personaggi importanti. Dal 1500 a.C. – in piena Età del Bronzo – si diffusero nel Mediterraneo grazie ai Micenei arrivando presto anche in Sicilia.
Le tombe a Tholos di Thapsos, nella Sicilia orientale, testimoniano che nel II millennio a.C. i greci di Micene giunsero sulle coste siciliane. Ritrovamenti archeologici a Sant’Angelo Muxaro, in provincia di Agrigento, indicano che i Micenei si spinsero presto nella Valle del Fiume Platani ricca di zolfo, sali potassici, salgemma ed altre risorse minerali molto richieste dai mercanti orientali.
Carmelo Montagna sostiene che le cavità della Gurfa siano state realizzate nell’Età del Bronzo per accogliere le spoglie di un personaggio di grande rilievo, forse il leggendario re di Creta Minosse. Nella mitologia greca, Minosse morì in Sicilia mentre era ospite del re sicano Cocalo nella città di Camico, un antico centro urbano della Valle del Platani ancora non identificato. A rafforzare questa teoria è l’impressionante somiglianza tra la grande sala della Gurfa e la famosa Tholos del “Tesoro di Atreo”, conosciuta anche come la “Tomba di Agamennone”, uno dei luoghi più celebri al mondo.
Con i suoi 13 metri di diametro e 16 metri d’altezza, la grande sala della Gurfa ha un volume maggiore rispetto alla Tholos micenea (14,60 metri di diametro e 13,50 d’altezza) ed è la più grande conosciuta nell’intero bacino del Mediterraneo. “Le dimensioni della Gurfa -sostiene Carmelo Montagna- suggerirebbero che la grande sala venne creata per seppellire un personaggio importante almeno quanto il re degli Achei Atreo o suo figlio Agamennone, ad esempio… Minosse!”
Gli archeologi greci, basandosi sui dati attuali non possono confermare che il monumento funerario di Micene abbia realmente accolto le spoglie del re Atreo o di suo figlio Agamennone, noto per aver guidato l’esercito greco contro Troia.
Non sapremo mai con certezza se Agamennone e Minosse furono sepolti in tombe monumentali simili, ma ciò che li accomuna è un destino segnato dal tradimento. Entrambi i sovrani trovarono la morte nell’intimità di un bagno: Agamennone fu assasinato dalla moglie Clitennestra, mentre Minosse cadde vittima di una congiura tramata dalle figlie del re Cocalo e da Dedalo, il celebre architetto ateniese rifugiatosi in Sicilia dopo essere fuggito dal labirinto del Minotauro, in cui Minosse stesso lo aveva rinchiuso.
La presenza di Dedalo, simbolo dell’ingegno pre-ellenico, nella Valle del Platani rafforza l’affascinante ipotesi che il celebre architetto possa aver progettato la grande sala della Gurfa.
La difficoltà dell’interpretazione storica
Interpretare un Mito non è facile poichè lo scenario in cui si svolge l’azione – come nel caso dell’arrivo di Minosse in Sicilia – è sempre strumentale rispetto ad un messaggio politico o propagandistico che il racconto intende trasmettere. Per questo l’archeologia ufficiale sostiene che non ci siano ancora elementi certi per attribuire un’origine preistorica agli ipogei della Gurfa. Tuttavia, il complesso sistema rupestre è un luogo avvolto nel mistero che vale la pena visitare.

Archivio LIMEN / Foto di Vincenzo Sottosanti
L’osservazione diretta del fenomeno della Gurfa
E’ una giornata soleggiata di fine marzo, perfetta per osservare a mezzogiorno il fenomeno che potrebbe confermare le teorie dell’architetto Montagna. Preceduto dalla mia straordinaria guida, entro nella grande sala e vengo colto da una strana sensazione. Subito mi convinco che non può trattarsi di una cavità naturale ed inizio a chiedermi chi possa aver creato un luogo così straordinario. Mi sposto verso il centro della cavità e, guardando verso l’alto, noto un foro che comunica con l’esterno. “Siamo sull’axis mundi !”, esclama Carmelo Montagna. La mia guida è convinta che ci troviamo in un luogo simbolico o sacro progettato da un architetto protostorico di straordinatio talento. “Il foro sopra le nostre teste rappresenta lo Zenit – aggiunge – ci troviamo lungo l’asse ideale che unisce lo Zenit ed il Nadir, i due poli intorno ai quali ruota il nostro pianeta”. Ascolto con attenzione ma non riesco a comprendere il legame tra questi concetti astronomici e la cavità in cui ci troviamo. In quel momento Carmelo Montagna mi indica un altro foro scavato nella parete laterale al centro di una grande nicchia, anch’esso aperto verso l’esterno.
Nel corso degli anni, Carmelo Montagna ha notato che solo durante l’Equinozio di Primavera un raggio di Sole attraversa quel foro e illumina, esattamente a mezzogiorno solare, il punto preciso in cui ci si trova. Questo indica che la grande sala della Gurfa potrebbe essere stata scavata apposta per segnare con precisione il momento in cui la Terra si allinea con il Sole durante l’Equinozio di Primavera.
Il centro della sala, dove la perpendicolare dello Zenit (segnata dal foro in alto) si incontra con il pavimento della cavità, rappresenterebbe il centro del pianeta.
Un fenomeno mondiale
L’Equinozio di Primavera è da sempre un momento significativo per l’umanità, e l’evento previsto tra meno di un’ora potrebbe dimostrare che la cavità è stata realizzata seguendo un progetto architettonico molto preciso. Nonostante ciò, il mio scetticismo persiste, e decido di fare affidamento sul mio orologio. Sarà lui, a mezzogiorno, a stabilire se le mie perplessità sono giustificate o no.
Da Est a Ovest, nel mese di marzo si celebra l’Equinozio di Primavera, un momento per dire addio all’inverno e dare il benvenuto alla primavera, simbolo di rinascita della Natura. In Giappone, un Paese con profonde tradizioni agricole, il 21 marzo è festa nazionale. Questo giorno è dedicato al Haru no Higan, una ricorrenza dal doppio significato: celebra il “risveglio” della Natura con l’arrivo di una stagione di abbondanza e il “risveglio” spirituale di chi è scomparso. È una festa molto sentita, durante la quale molti visitano i cimiteri per onorare le anime dei propri cari.
Nel Vicino Oriente, l’Equinozio di Primavera si celebra con il Nawruz, una grande festa popolare nata nel 487 a.C., quando gli astronomi preannunciarono al re persiano Dario che un raggio di Sole avrebbe illuminato il centro del palazzo reale di Persepoli.
In Occidente, l’Equinozio di Primavera è un punto di riferimento importante per la Chiesa Cristiana. La Pasqua, che celebra la resurrezione di Cristo, è una festività “mobile”, con una data variabile calcolata in base a specifici fenomeni astronomici. Cade infatti la domenica dopo il primo plenilunio successivo all’Equinozio di Primavera (convenzionalmente fissato al 21 marzo). Per questo motivo, la Pasqua non si celebra mai prima del 22 marzo.
Pensando agli antichi egizi che, già 5000 anni fa, sapevano che l’Equinozio di Primavera era l’unico giorno in cui luce e buio avevano la stessa durata, noto un fascio di luce entrare dal foro sulla parete laterale. Il raggio, preciso e regolare, colpisce il pavimento muovendosi lentamente verso la perpendicolare del foro sopra di me. In realtà, è la rotazione della Terra a permettere al Sole di illuminare il punto centrale della cavità in cui mi trovo. Mancano pochi minuti a mezzogiorno, e il mio scetticismo lascia spazio a un senso di meraviglia. Sul volto di Carmelo Montagna si legge già una soddisfazione evidente. Preparo la macchina fotografica per documentare l’evento che sta per accadere.
Carmelo Montagna ha raccolto i risultati delle sue ricerche nel libro “Il Tesoro di Minos – l’architettura della Gurfa di Alia tra preistoria e misteri”. Questo volume, pubblicato dall’Officina di Studi Medievali, propone anche ipotesi sugli ambienti secondari, considerati possibili spazi per rituali legati al culto dei morti. Tuttavia, lo stesso Montagna sottolinea la necessità di ulteriori studi per confermare queste teorie.

Archivio LIMEN / Foto di Vincenzo Sottosanti
Il Museo Archeologico di Marianopoli
Carmelo Montagna ritiene che per comprendere gli ambienti della Gurfa sia fondamentale guardare ai reperti dell’Età del Bronzo custoditi nel Museo Archeologico di Marianopoli, un piccolo comune in provincia di Caltanissetta, di cui Montagna è stato sindaco. I reperti del museo raccontano una fase cruciale della storia siciliana: l’inizio del processo di incontro culturale tra le popolazioni locali della Valle del Platani e i Greci. “Molti – spiega Montagna – credono ancora che i Greci, giunti in Sicilia, abbiano trovato una popolazione priva di cultura. Non è vero, e i reperti di Marianopoli lo dimostrano. Nella Valle del Platani, 3500 anni fa, esisteva una civiltà indigena che produceva ceramiche decorate, segno di un pensiero strutturato e, forse, anche di una forma di scrittura”.
Il Museo Archeologico di Marianopoli è nato grazie a un gruppo di intellettuali, tra cui il giovane studente di architettura Carmelo Montagna.
Nel 1977, un gruppo di intellettuali di Marianopoli, guidato dallo storico Emanuele Valenti, denunciò l’indifferenza delle Istituzioni di fronte ai continui saccheggi del sito archeologico di Monte Castellazzo. Valenti aveva identificato l’area come i resti dell’antica città di Mitistratos. In quegli anni, la scarsa attenzione verso i beni culturali favoriva l’attività illegale di tombaroli e mercanti d’arte senza scrupoli. Numerosi reperti archeologici venivano trafugati e immessi nel mercato clandestino internazionale, spesso ignorati dalle autorità.
La denuncia pubblica degli intellettuali di Marianopoli rappresentò una svolta nel contesto siciliano, spingendo la Soprintendenza di Agrigento a condurre, tra il 1977 e il 1984, indagini archeologiche che confermarono le scoperte di Valenti e portarono al recupero di preziosi reperti, oggi esposti nel Museo di Marianopoli. Da quel momento, le ricerche nella Valle del Fiume Platani sono proseguite, portando alla luce nuove scoperte che potrebbero, in futuro, svelare il mistero della Gurfa e dimostrare che la preistoria siciliana ha ancora molto da raccontare.