
Per celebrare e commemorare il 25 aprile, LIMEN presenta un’intervista realizzata nel 2003 a Raffaele Cristani, ex ufficiale della Divisione Livorno del Regio Esercito Italiano. Cristani fu testimone diretto dello Sbarco in Sicilia, l’evento che diede inizio alla “Liberazione” dell’Europa dal nazifascismo celebrata nel nostro paese il 25 aprile.
Perché condividere un’intervista del passato? Perché la memoria ci aiuta a sviluppare il pensiero critico necesssario per comprendere il mondo che ci circonda.
L’intervista risale ad oltre vent’anni fa, a quando contattai telefonicamente Raffaele Cristani per parlare dell’esperienza vissuta tra il 9 e l’11 luglio 1943. All’epoca giovane Ufficiale, Cristani ricevette l’ordine di spostarsi immediatamente con i suoi uomini da Caltanissetta a Gela per impedire l’approdo dell’imponente flotta anglo-americana in navigazione verso le coste siciliane.
Nel 2003 Cristani aveva 85 anni ed era uno degli ultimi testimoni dello Sbarco in Sicilia. Proposi un incontro a Milano dove viveva ma non appena espresse il desiderio di voler tornare nella Piana di Gela per rendere omaggio ai 4000 soldati italiani caduti davanti ai suoi occhi, mi misi subito all’opera per organizzare il viaggio. Una settimana dopo ci ritrovammo insieme sulla collina da dove aveva assistito impotente a quello che definiva un “olocausto”. In quell’occasione capii che
le ferite della Seconda Guerra Mondiale non si erano ancora rimarginate e che l’Italia doveva ancora fare i conti con il proprio passato.
Le polemiche politiche attuali
Nonostante il tempo passato, la testimonianza di Raffaele Cristani resta ancora attuale, aiuta a comprendere come sia possibile che preoccupazioni sociali ritenute ormai consegnate al passato possano riemergere.
Il ricordo di Raffaele Cristani sollecita un passo indietro nella storia, invita ad una attenta lettura degli eventi che si sono susseguiti dallo Sbarco in Sicilia del 10 luglio 1943, all’armistizio di Cassibile firmato il 3 settembre ma reso noto soltanto l’8 settembre. Tra lo Sbarco in Sicilia e l’Armistizio migliaia di soldati italiani continuarono a morire per difendere il suolo italiano da quelli che, prima dell’8 settembre erano tecnicamente “invasori”.
Comprendere le conseguenze del mancato riconoscimento del sacrificio dei 350.000 militari italiani uccisi da soldati che diventarono “Alleati” soltanto l’8 settembre 1943, potrebbe essere il primo passo per avviare un processo culturale per fare definitivamente i conti con la storia, così come è riuscito a fare il popolo tedesco con il nazismo.
Le cronache di questi giorni mettono in evidenza le proteste contro il Governo guidato da Fratelli d’Italia, un partito comunemente associato alla componente politica che sostenne con determinazione il regime fascista di Mussolini.
Il governo guidato da Giorgia Meloni è stato criticato dalle opposizioni per aver dichiarato un lutto nazionale di cinque giorni, dal 22 al 26 aprile, in seguito alla morte di Papa Francesco. Tale durata è senza precedenti per un Pontefice. Le opposizioni sostengono che la decisione di un lutto nazionale così lungo ha avuto lo scopo di oscurare la Festa della Liberazione. A sostenere l’accusa dei partiti di opposizione sarebbe l’invito rivolto dal Ministro Nello Musumeci di celebrare la ricorrenza con “sobrietà”. L’appello è stato raccolto da diversi amministratori locali annullando le iniziative già programamte per il 25 aprile, generando non poche polemiche intorno ad una celebrazione nazionale storicamente poco valorizzata dalla Destra italiana.
Raffaele Cristiani assistette allo sbarco in Sicilia. Nel 2003, sessant’anni dopo, l’ex ufficiale della Divisione Livorno tornò nella Piana di Gela, dove in un solo giorno persero la vita 4000 soldati italiani e altrettanti tedeschi.
Gela, maggio 2003
Tra le colline che sovrastano la Piana di Gela risuonano ancora gli echi delle bordate. Raffaele Cristani scruta l’orizzonte che si perde nel mare come a voler scorgere le sagome delle navi americane che all’alba del 10 luglio 1943 affollavano la rada. Dopo sessant’anni, vuole ritrovare il punto preciso da cui ordinò di aprire il fuoco contro quelli che chiama ancora “gli invasori”.
Nato nel 1918, finita la guerra ha intrapreso una brillantissima carriera come ingegnere raggiungendo importanti traguardi professionali, ma in tutti questi anni non c’è stato giorno in cui il suo pensiero non sia tornato a quel fatidico 10 luglio del ‘43.
Con un gesto rapido, come se fosse ancora in azione, estrae dalla tasca la mappa che aveva con sé quando con i suoi uomini arrivò sulle alture che dominano la Piana di Gela. Si guarda intorno un po’ spaesato, si rende conto che in oltre mezzo secolo il paesaggio è cambiato. Non c’è più traccia degli alberi di mandorle, ed anche la vegetazione ad arbusti è scomparsa. Negli anni l’abitato di Gela si è enormemente esteso e non è più un riferimento attendibile, ma è sicuro di essere nel punto da cui tentò il disperato tentativo di ributtare in mare gli sbarcati. Ancora uno sguardo alla mappa, un altro alle colline circostanti ed arriva la certezza. Individua i due costoni di roccia a cui deve la vita per averlo protetto dalla micidiale bordata che uccise alcuni soldati e distrusse tutta l’artiglieria.
“Di questi luoghi e di quegli episodi, dice Raffaele Cristani, mi è rimasta sempre ben presente e nitida una serie d’immagini quasi fotografiche che potrei, se potessi, riprodurre”.
Le tracce della battaglia sono ancora lì a testimoniare il dolore di tutti. Nelle immediate vicinanze del Ponte Dirillo una lapide ricorda i soldati americani morti durante lo scontro con le truppe tedesche. Nei pressi del Castellaccio un piccolo monumento a forma piramidale è stato dedicato invece al sacrificio dei soldati italiani.
“In termini di vite umane, ricorda Cristani, la Divisione Livorno è entrata in campo con 12.500 uomini. Nei giorni 10 ed 11 luglio i nostri morti nella Piana di Gela furono 4000 e 3500 i dispersi ed i prigionieri. Tornare in questi luoghi per me significa rinnovare il profondo rammarico che noi superstiti portiamo dentro per il sacrificio, solo all’apparenza inutile, di tante vite umane e che ancora oggi imbarazza le nomenclature militari e civili che non sanno come riconoscerlo, e come collocarlo, fra gli olocausti più nobili della nostra storia militare. In quel preciso momento storico abbiamo tentato di ributtare in mare un esercito invasore” . Il messaggio è chiaro: i militari italiani si sono sentiti traditi dal Paese che stavano difendendo. Il vecchio ufficiale non accetta una interpretazione sommaria dei sessanta giorni che dividono la data dello sbarco anglo americano con l’armistizio dell’8 settembre. Non la può accettare perché in quei maledetti ed interminabili sessanta giorni migliaia di soldati italiani, alleati e tedeschi persero la vita in Sicilia ed in continente.